Principalmente vi sono due piani di lettura nel lavoro presentato da Gaetana Milazzo.
Il primo assolutamente scientifico, analitico, rigoroso nelle affermazioni come un sillogismo aristotelico. Il lavoro dell’artista è un enunciato molto chiaro, attraverso cui si afferma un mondo fagocitato dal consumo, dalla frenesia, dalla scissione, il cui segno (in)visibile è l’alterazione, il deterioramento, la frammentazione. Una dimensione quasi schizofrenica, che riflette un rapporto tra reale e virtuale non conciliato, di cui spesso non si definiscono i confini.
Il glitch è un errore o malfunzionamento che avviene nel trasferimento di segnali o dati. Quelli che ci mostra l’artista sono “puri”, generatisi involontariamente rispetto all’azione del fruitore, durante le numerose fasi di salvataggio o “compressione” dei file. Il costante “consumo” (utilizzo) ne causa il deterioramento.Un’allegoria che pone l’attenzione su un sistema di relazioni il cui status sta subendo profondi mutamenti. La comunicazione tende a definirsi come fruizione, la fruizione è spasmodica, selvaggia, attraversata dall’ansia di condividere, di inoltrare, di visionare. Non è un caso che lo stesso linguaggio comune viva di parole determinanti azioni che trovano solo nella dimensione virtuale la loro pregnanza, riflettendo trasformazioni sociali in atto tutt’altro che semplici da decifrare. Costruzioni di mondi virtuali avvinghiano la realtà in intricati percorsi di cui si fatica ad avere coscienza perché da essi assorbiti, perché in essi invischiati. Ormai ben al di là dello scontro fra apocalittici ed integrati annaspiamo in un mondo troppo veloce per coglierne in pieno i mutamenti, la cui progressione pare determinantesi, in modo del tutto casuale, dall’interazione con stimoli e agenti sempre nuovi. In questa dimensione alterata l’attenzione dell’artista si concentra sugli errori del sistema, errori che lo stesso sistema definisce e gestisce come scarti. Vi è una profonda consapevolezza nella scelta dei soggetti presentati. La formazione dell’artista è legata al ritratto, attraverso cui ha rappresentato ed esposto individui, se stessa, vissuti, luoghi, definito identità. Non è un caso che l’urgenza di porre una riflessione su quel mondo avvertito come distorto passi attraverso l’esposizione di frame che ritraggono personaggi, ruoli, ma anche individui, identità legate ad un immaginario già acquisito.
Gaetana Milazzo riporta alla luce il nesso inevitabile fra virtuale e reale, in cui il glitch (scomposizione, taglio, alterazione) è campanello dall’allarme, anticamera del blackout. I personaggi che ci mostra, glitchati, riflettono una frammentazione che è quella percepita dal sentire dell’artista. Il secondo aspetto è legato alla poetica della ricerca di “possibili” errori, segnali della nostra fallibilità, che svelano e indicano il dissidio, struttura stessa del molteplice. Paradossalmente il lavoro dell’artista per quanto si nutra esclusivamente di tecnologia, riesce ad esprimere suggestioni legate alla memoria di antiche tradizioni. Immaginiamo così l’artista (merlettaia), trascorrere le notti (sul web) a lume di lampade alogene, con solerzia e dedizione controllare migliaia di file, di video, cercando con cura quegli errori, che presto diverranno “scarti”, che senza il suo intervento inevitabilmente verranno “cestinati”. Nell’immaginario collettivo una certa pulizia ed una certa patinatura dell’immagine tipica degli standard mass-mediatici e pubblicitari, attestano l’ineguagliabile perfezione della macchina. Durante la certificazione di qualità, come quella eseguita dai tester, i glitch devono essere individuati ed elencati in una relazione da rispedire ai programmatori, ciò permette di correggere l’errore eliminando dal mercato la produzione danneggiata. In un mondo che aspira alla perfezione, in cui l’errore è percepito come un guasto, la sbavatura di un’immagine diventa un taglio estetico e i pezzi mancanti lasciano intravedere la struttura dei dati che vi sottende. É come se si aprisse uno squarcio sulla macchina e sul suo funzionamento entro cui è possibile legittimare la presenza dell’errore come fenomeno possibile che pretende espressione all’interno dell’esistere.
L’azione salvifica dell’artista assume così una portata dirompente. Lo scarto, recuperato nell’infinito svolgersi dei mondi digitali, viene consegnato in forme cristallizzate, ri-guadagnando lo statuto di soggetto, di presenza: diviene gesto e preludio, segno indelebile della nostra incapacità di gestire il tutto e di riuscire in ogni momento a determinare la nostra identità. Così, quello che nel mondo virtuale può apparire un gioco di scomposizione, nella realtà è spesso cambiamento inevitabile e sofferto.
Antonio Leone
marzo 25, 2010
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